Porto Flamingo
La speranza è quella di annegare tutto in una festa, coinvolgente e calda, che possa piegare le labbra e scuotere ossa, pelle, polmoni e pensieri… E’ forse un po’ troppo?… Ma perché porre limiti alla speranza.
Membri del gruppo:
Andrea "Cippa" Paganelli
Fabio "Carlos" Fiaschi
Oscar Casari
Boris Cammilli
Alessandro Mencancini
Booking per concerti:
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Valeria: 340/3983969
Ufficio Stampa:
MARTEPRESS
Michele Severino (stampa)
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Vincenzo Presutti (radio)
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Sito Web
www.portoflamingo.it/
Contatto stampa
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Il Porto nasce nel 2000, un po’ come nascono i gruppi, per caso, dalla voglia di due amici musicisti di mettere su una band riarrangiando i brani dell’allora prepensionato cantante, che poi sarei io, Andrea, vestendoli di musica folk, comunque acustica, e coinvolgendo man mano una serie di conoscenti ed amici. Tutto a Prato, in primavera.
Prove in garage, in cantina, in salette più o meno improvvisate, fino al momento in cui c’era da trovare un nome per il primo concerto, la prima occasione. Così durante una serata tra un brindisi e un però e un forse abbiamo scelto l’idea del “porto”, luogo d’incontro e di accoglienza, di arrivo e partenza, unendola al nome di un’officina meccanica che c’era a fianco della nostra sala prove di allora, l’Officina Flamingo.
Suonava bene, credo ancora che suoni bene. E questo nome ce lo siamo tenuto negli anni, con affetto.
- Come si evolve e come cambia la band in 15anni di musica insieme?
Si evolve come si evolve la vita. Per tutti questi anni abbiamo sempre trovato il modo e la voglia di trascorrere almeno due sere alla settimana assieme, suonando, arrangiando, litigando e ridendo.
Alcuni ci hanno salutato, altri sono arrivati, della formazione originale siamo in tre, quando suonavamo folk siamo partiti anche in otto per qualche concerto. Con tutti abbiamo sempre un discreto rapporto, insomma, non ci siamo mai lasciati male.
Siamo sempre stati una buona valvola di sfogo per noi stessi e anche per molte delle persone che ci hanno seguito in questi anni.
Poi i gusti cambiano, assieme ai musici che arrivano, con i loro gusti e le loro idee… e ovviamente cambiano singolarmente anche le persone. Dopo i primi dieci, undici anni di folk rock con annessa etichetta di genere (UPR) e una lunga serie di concerti e tre album, abbiamo iniziato a sentire che qualcosa nelle canzoni stava mutando, assieme a noi. Dopo Lamoresiste (il quarto disco) eravamo contenti a metà, sentivamo che qualcosa andava cambiato, con più decisione.
Abbiamo deciso di farci guidare da Oscar (Leonardo Catani), il nostro tastierista, l’ultimo innesto. Ci siamo lasciati andare, abbiamo faticato non poco a scollarci di dosso le nostre abitudini, i nostri trucchi. Adesso siamo felici di esserci riusciti, abbiamo trovato nuova linfa, nuove storie ed un nuovo modo di raccontarle. E Beta Produzioni ci ha accolti e dato la possibilità di diffonderle.
- Cosa può essere secondo voi il vostro elemento caratteristico?
L’unione fra ritmo e cervello. Non riusciamo a fare a meno di battiti, pelli e ritmo. E non ci piacciono le canzoni che non dicono niente. Potranno non piacere, è lecito, ma nelle nostre canzoni vogliamo sempre delle idee, le voglio io, che scrivo i testi e ne traccio le melodie, e le vogliono tutti gli altri, che se una canzone non ha dentro qualcosa su cui pensare praticamente neanche la prendono in considerazione. Solo una in questo disco si stacca da questa legge, tranne che nell’inciso, ma aveva un senso per me e i miei compari mi hanno alla fine perdonato. Ascoltate l’album e capirete quale.
Il concetto viene dopo la scrittura dei pezzi. Ancora una volta, più delle altre volte, le canzoni partono non tanto da una analisi sociale, ma da una spina interiore. Un pungolo, una sensazione, un’idea. Tutte vivono di un personaggio che pensa e si riflette in ciò che lo circonda. Il pensiero è inevitabile, l’uomo non può non pensare, e gli stimoli che ci arrivano nel duemila e sedici sono continui, tantissimi, troppi. I ritmi occidentali che conosciamo e viviamo sono incredibili.
Tutto si macina, si rumina, si perde. Tanto si perde. E il cervello lavora sempre e cerca di elaborare i dati al suo meglio. Ogni canzone ha dentro questo momento di analisi interiore. Alla fine per me era l’unico titolo possibile. Il modo migliore per unire queste tracce dalla prima all’ultima.
- Nella prima canzone allora cantate di libertà.
In liberi cantiamo della libertà che riusciamo a dare ed avere da un compagno, da una compagna, da un’idea, da un ricordo. Quella libertà che concediamo o che ci viene concessa talvolta anche con apprensione, che ti fa sentire l’assenza dell’altro e che rende così unico e prezioso il non appartenersi con possesso, ma sapere di esserne intrisi in ogni istante, appena svegli. E’ il gusto del ricordo che conta, della presenza, dell’assenza. Per una persona o anche per un’idea, che vive in te, ma che non ti opprime cancellandoti o annientando i tuoi spazi.
- 1400gr seconda canzone che da nome all'album. Secondo voi perché non riusciamo ad usare tutti i nostri 1400gr?
Be, usarli tutti o no non è così importante, sarebbe importante usarli bene, quantomeno usarli. Il problema, il fatto che conta e che emerge nel ritornello, è soprattutto il cercare troppo spesso delle scuse alle nostre mancanze, ai nostri errori, alla nostra pigrizia, all’incomprensione dell’altro e delle nostre necessità reali.
Si perde il senso delle cose con tutto l’ammasso di informazioni che ci arrivano. Volontariamente o molto più di frequente involontariamente tendiamo a dare la colpa delle nostre mancanze o dei nostri sogni infranti o delle nostre insoddisfazioni agli altri, alla storia, agli eventi, al destino, al tempo. Alla politica. Noi siamo in larga parte responsabili del nostro vivere quotidiano. Non siamo i soli arbitri, gli altri esistono, ci condizionano. Ma la realtà è che troppo spesso non ci analizziamo fino in fondo, perché capire a volte è faticoso…meglio cedere ad idee, mode, notizie, abitudini, tradizioni, religioni preconfezionate. Più comodo. Spesso più stupido. Usare il cervello significa cercare di capire dove e cosa siamo. E' una cosa che fa stare meglio noi per primi… e di conseguenza gli altri.
Ad una delle più antiche e consolidate abitudini dell’uomo. Dio. Gli dei. Il supremo.
E’ una canzone che parla di Dio, è una soggettiva, è proprio lui che parla. Un Dio rancoroso, che una volta creato un mondo perfetto e armonioso, si accorge che in questo modo nessuno si rivolgerà a lui o gli presterà attenzione. Nessuno avrà bisogno di chiedere la sua intercessione e quindi indispettito decide di donare alle sue creature un formidabile virus che le possa destabilizzare da gioia e pace. Il potere. Causa prima e micidiale di ogni conflitto. L’uomo in difficoltà e in lotta avrà da cercare ancora soluzioni che plachino incertezze, paure, sconfitte. Il conforto in qualcosa di ultraterreno, di altro da un’esistenza privata della sua pace e della sua armonia. La salvezza paradisiaca che può compensare una vita di stenti, di difficoltà. Un concetto molto presente nelle religioni. Molto pericoloso. Molto comodo. Utile spesso ai potenti. Poi qualcuno potrà trarne giovamento, nel pensiero della vita ultraterrena, della continuità. Io, noi, preferiamo vivere questa. Cercando di spenderla al meglio.
- Di cosa parla la canzone l'ultima ora?
Di un uomo che pensa, vive una giornata normale e pensa, e osserva quel che ha intorno con distacco emotivo, con un certo cinismo. Un fiume di parole che commentano una giornata tipo ed il suo disagio nell'affrontarla, nell'affrontare il quotidiano, che evidentemente non gli sta comodo addosso. E il vero scopo di tutto sembra essere quello di arrivare alla fine. Della giornata, della vita. Una soluzione possibile solo col sonno, eterno o meno che si voglia pensarlo.
E' la sensazione di inadeguatezza che tante volte ci troviamo dentro, che ci fa fare pensieri cattivi, e il riuscire invece a trovare comunque un qualcosa di positivo. Per me è anche la rivincita del secondo in un mondo di primi, il secondo che si accontenta delle piccole cose. Con una certa malinconia, è vero, ma trova gioia nelle piccole cose. Quello è “precipitare bene”. Una sorta di conforto, che è utile a vivere sereni. E che può essere dannoso alla storia. Al pezzo di storia che potremmo costruire e cambiare. L'equilibrio tra accontentarsi di quel che si ha e lottare per avere di più è una cosa personale. Una cosa anche questa che dovremmo cercare.
Perfetto è insieme a Il primo giorno quella che ha dato il via al cambiamento musicale del Porto Flamingo.
Dopo anni di folk rock avevamo bisogno di nuovi suoni, nuovi spunti. Tutto è ripartito dal cambio del ritornello di Perfetto. Ne aveva un altro, ma non ci convinceva. Volevamo qualcosa di più rock, aperto. In due tre giorni lo abbiamo trovato. Da li abbiamo capito che potevamo suonare anche altro. Ci siamo convinti e ho iniziato a scrivere nuove canzoni.
Come al solito, ed anche come è successo in Perfetto, sono io che scrivo i testi ed una prima melodia del cantato, qualche riferimento alla musica, ma poca roba. Ascoltiamo chitarra e voce quel che ho immaginato e poi iniziamo ad arrangiare la canzone, con grande lavoro di Oscar, ma un po di tutti. Per questa canzone mi sono saltate in testa delle immagini, una serie di immagini, come in un film, e la sensazione che fossimo abitati da una bestia che dopo averti entusiasmato e fatto godere, ti lasciasse abbandonato e stremato. E mi sono immaginato un uomo che decide di reprimere la bestia, l'istinto, per essere immune da questo abbandono e rimanere sempre e comunque perfetto, istituzionalmente una brava persona. E poi il suo tardivo rendersi conto dei pezzi di vita che per questo non ha vissuto a pieno. Un vero peccato, che talvolta siamo costretti a commettere. La perfezione a volte è dannosa. Bisogna sapersi abbandonare alle emozioni, a volte anche con qualche rischio.
- Alla fine dell'album ringraziate tutti i vostri Raisers, che veramente sono tanti! Mi complimento con voi e con loro. Avete delle parole da dire riguardo la vostra esperienza?
Be, che dire. Grazie grazie grazie, sicuramente grazie. E' strano rivolgersi a chi ti ascolta per una specie di finanziamento sulla fiducia o sull'idea. Avevamo effettivamente bisogno di incrementare il budget di produzione del disco, per aumentare la qualità dei suoni. Volevamo davvero un disco diverso, soprattutto a livello di arrangiamenti, di registrazione, di mixaggio, di mastering. Credo proprio che siamo riusciti ad averlo. Ma la qualità costa. Giustamente. E il nostro amico Guido ci ha detto...ma perché non fate un raiser? Non eravamo convintissimi, all'inizio. Ma provare era anche un modo per iniziare a parlare del disco nuovo e del cambiamento che stavamo progettando. Una prima finestra sul mondo. E grazie a tutti quelli che hanno partecipato ci siamo riusciti. Si, sul disco ci sono tutti. Tutti i partecipanti. Grazie davvero.
- Cosa avete in riserva per i prossimi mesi?
Promozione, concerti, interviste, concerti, notti insonni e concerti, chilometri, autogrill, famiglie che ci desiderano, gente, pubblico, sorrisi e birre, musica, tanta musica. Speriamo veramente di poter portare questo 1400 grammi ovunque.
Le date già ci sono ed altre se ne aggiungeranno. Www. Portoflamingo.it e pagina facebook del Porto per seguirci e capire dove stiamo andando e cosa succede intorno a noi. E poi un paio di nuovi video, a fine estate ed in inverno, per colorare e spiegare ancora questo nostro album.
Per adesso tutti possono vedere quello de l'ultima ora, girato per le strade di Prato, la nostra città natale. Insomma, ci aspettano un bel po' di musica ed un sacco di incontri.
Ci vediamo in giro per lo stivale.
Grazie a tutti, grazie a voi.
Buona musica... e voglia!