PIN CUSHION QUEEN
Igor Micciola: synth, guitars, vocals
Marco Calandrino: bass, synth, vocals
Nicola Zanardi: drums
Città natale
Bologna
Per ascoltare i loro pezzi
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Un gruppo rock, forse. Il dubbio nasce dalla volontà costante, fin da quando siamo nati come gruppo, di andare oltre a quello che abbiamo digerito e che ormai potremmo restituire senza incertezze. Ora ci troviamo spesso a suonare strumenti che non fanno parte della nostra formazione o a pensare secondo schemi di generi diversi (come il jazz, la classica, l’elettronica, la samba o certa musica popolare dell’Italia meridionale). Il discorso, in realtà, vale soprattutto per i prossimi Ep di Settings e per il materiale su cui stiamo lavorando ora, perché in Settings_1 ci sono i brani meno recenti e più vicini alle nostre origini. Non sappiamo se il risultato si possa definire ancora rock, ma forse lo sono le intenzioni più profonde.
Cosa caratterizza la band in una così ampia scena musicale, che è quella bolognese? Quanto giova o quanto nuoce alla vostra musica, la Bologna casa delle vostre idee?
Bisogna premettere che nessuno di noi tre è bolognese. Marco ci vive da quasi dieci anni ma è nato e cresciuto ad Alcamo (TP). Igor è nato a Foggia, ma la sua città è Parma e ha vissuto a Bologna a fasi alterne. Nicola è sempre stato nella bassa mantovana, veniva qui solo per le prove. Ora ci siamo spostati e per comodità proviamo a Viadana (MN), ma ognuno di noi vive in città diverse. Non abbiamo mai avuto molti contatti con la scena musicale locale, tolti pochissimi esempi come i Torakiki. Ed è una cosa che ci dispiace, perché in città ci sono i musicisti che apprezziamo di più in Italia, come Iosonouncane o i membri di quelli che erano i Buzz Aldrin, gruppo che è tra le nostre influenze maggiori. Eppure, nonostante non ci siamo mai davvero inseriti nell’ambiente, Bologna per noi significa tanto: Lo Studio Spaziale di Roberto Rettura, il Vacuum di Bruno Germano, Chiara e Sfera Cubica, basterebbero a spiegare quanto sia stata e continui a essere importante. Ma la lista è molto più lunga.
Perché avete aspettato 5 anni per far uscire un vostro nuovo lavoro?
La verità è che non siamo stati molto fortunati. Nel frattempo, infatti, abbiamo cambiato due batteristi. Nicola è il terzo e, oltre a essere il più giovane, è anche il più prolifico nella scrittura dei brani. Ma prima di incontrare lui, due anni fa, abbiamo cambiato i membri del gruppo troppo spesso per riuscire a lavorare in modo efficace, abbiamo anche trasformato lentamente il nostro modo di ascoltare e di suonare. Qui sta il motivo per cui, quando l’anno scorso siamo entrati in studio, ci siamo presi molto tempo per riflettere sul materiale che via via si accumulava. E così, siamo arrivati al master di Settings_1 solo due mesi fa.
Cos'è cambiato dunque dal 2011 al 2016?
Si fa prima a dire cosa non è cambiato. Soprattutto non si è mai spenta la voglia di suscitare sensazioni diverse da un brano all’altro, e per farlo ci mettiamo sempre alla prova con qualcosa cui non siamo abituati: uno strumento, uno schema armonico mai studiato, un modo di cantare fino allora sempre snobbato, ecc… Ovviamente ci sono delle costanti evidenti nel nostro modo di suonare e comporre. Ma tolto questo, in cinque anni tutto è stato stravolto.
Per noi è sempre la musica a determinare il testo, mai il contrario. In questo rapporto causale si ritrova l’armonia tra i due. O almeno dal nostro punto di vista.
Affermate che è stata la musica a ispirare i testi delle vostre tre canzoni. Credete che sia un processo più semplice quello di "affibbiare" un testo alla canzone, grazie alle immagini che la musica ci suscita, piuttosto che il processo inverso?
Non sapremmo calcolare il grado di complessità dei due processi. Ma il punto per noi non è questo, infatti non adottiamo questo sistema perché ci sembra più facile. Il punto sta nel tipo di necessità artistica che uno ha. La musica cantata è, in effetti, un’arte spuria, e i due elementi di cui è composta sono ben distinti. Se il bisogno è principalmente letterario, allora forse è preferibile fare l’esatto opposto: scrivere un testo prima, su cui puntare maggiormente per la riuscita finale, e solo dopo comporre una musica che accompagni e faccia da sostegno per il senso che il testo esprime. Per noi, il senso, per quanto indicibile, è già all’interno della musica che suoniamo, perciò i nostri testi sono concepiti come un corredo per indirizzare le suggestioni musicali in modo di poco più preciso. Questo non vuol dire che non ci mettiamo attenzione, anzi. A volte è capitato che fosse molto più complicato scrivere un testo che rispondesse nel modo migliore a questa funzione, piuttosto che la musica in sé. E potrebbe anche succedere che il testo di una canzone sia “migliore”, qualunque cosa voglia dire, rispetto alla sua controparte musicale. Ma questo, come è ovvio, è al di là del nostro controllo o delle nostre intenzioni.
Volendo parlare di un brano dal vostro EP, di cosa parlate in Mechanical Liars?
Proprio per ribadire il primato della musica sulle parole, possiamo rispondere parlando dell’impressione che ci dà suonarla, soprattutto dal vivo. È una specie di meccanismo a ingranaggi potenzialmente pericoloso. Lo stesso pericolo che nel testo il protagonista corre nei confronti dei molti bugiardi, più o meno immaginari, che si nascondono intorno a lui. La violenza di Mechanical Liars per noi ha a che fare con qualcosa di molto profondo e che non è necessariamente negativa. Anzi, forse mentre la suoniamo godiamo di un senso di liberazione, o sfogo, vagamente inquietante.
Quali sono le caratteristiche di Settings_1?
Come negli altri due capitoli della raccolta, nel primo ci sono le costanti della ripetizione e della dilatazione. I loop di chitarra e i pattern percussivi che si ritrovano in Background e Mechanical Liars, per quanto lontanissimi nell’effetto che producono, costituiscono elementi che si ripetono tanto da essere confinati dopo poco sullo sfondo. In questo modo, la parte fondante dei brani crea un’ambientazione (un setting, appunto) e l’ascoltatore si ritrova in un luogo, in un tempo o più in generale in una situazione, invece che in platea a seguire una storia. A questo effetto contribuisce la dilatazione, che permette l’illusione di uno spazio all’interno di una sequenza temporale in cui si articola la musica. Il risultato è simile a generi come l’ambient, certa elettronica, la psichedelia ma anche a molta musica popolare in diverse zone del mondo. Il concetto di fondo non è nuovo, è semplicemente declinato secondo la nostra immaginazione.
Come avete maturato l'idea in questo periodo di quasi stallo, tra le vostre pubblicazioni, in modo da progettare questa raccolta di sfondi e illustrazioni, rilasciata però in 3EP, da 3pezzi ciascuno, da 3musicisti e in 3date differenti?
Il numero 3 è un caso, davvero. A meno che non sia qualcosa di inconscio, ma ci crediamo poco. L’idea di creare una sorta di trilogia della narrazione è nata tanti anni fa, come risposta alla necessità di scrivere dei testi. Quindi, dopo aver concepito Characters, abbiamo riflettuto sui nuovi brani in cantiere in quel momento (tra cui i tre di Settings_1) e ci sembrava che descrivessero delle scenografie. Da qui l’idea di continuare a scrivere secondo queste caratteristiche e collezionare così i brani di Settings.
Domanda conclusiva: Personaggi, Ambientazioni, Storie. Qual è dunque il libro che volete pubblicare?
Non lo abbiamo ancora deciso, lo scopriremo suonando e riascoltando le registrazioni dell’ultima parte, cioè Stories. Ma se fosse un libro, allora sarebbe il nostro “Se una notte d’inverno un viaggiatore”.