INTERVISTA AL PIANISTA PAOLO BERNARDI
Molto sinteticamente posso dire che ho iniziato a studiare il pianoforte relativamente tardi, verso i 13 anni. Mi sono poi diplomato in strumento a 25 (insieme a una laurea in Lettere con indirizzo musicale). Nel 2004 e nel 2009 ho completato i miei studi in musica jazz nei conservatori di Perugia e Roma.
Questo mio progetto in piano solo è un'ideale prosecuzione di un altro lavoro, sempre svolto “in solitudine” nel 2010: un cd dal titolo “My showcase”. In quest'ultimo caso si trattava di un disco alquanto eterogeneo che prevedeva un programma composto di alcuni standard jazz a me molto cari, alcune composizioni originali e musiche varie, tratte da ambiti musicali diversi che mi hanno sempre però influenzato e appassionato. “Impressions” è il compimento, in qualche modo, di “My showcase”, perché è quasi interamente composto da mie musiche originali e nuovissime, ispirate a sonorità ancora diverse rispetto all'altro lavoro: stavolta lo spunto mi è venuto dalla lounge music e dallo smooth jazz.
2- Sapendo che, dopo gli studi classici, hai intrapreso gli studi jazzistici, in che modo prendesti questa decisione di "cambiare" genere musicale? Progettavi già qualcosa in stile "Impressions"?
La decisione di affrontare lo studio del jazz con il medesimo impegno che avevo riversato per la musica classica è stato un passaggio quasi consequenziale; un po' come l'ideale prosecuzione di quegli studi. So che sto dicendo qualcosa che potrebbe sembrare discutibile, ma, per me, affrontare lo studio dell'universo sonoro del jazz - al quale mi sono avvicinato negli ultimi anni di conservatorio - è stato come cimentarmi a girare il degno “sequel” di un colossal! Comunque in quegli anni di studio non pensavo minimamente di progettare un cd in piano solo anche se sarebbe stato un mio sogno: era troppo ambizioso sperare di realizzare subito un disco in piano solo appunto e con quelle sonorità. Dovevo prima crearmi un bagaglio serio e sostanzioso. Del resto, non avevo ancora approcciato con continuità alla composizione (alla quale invece mi dedico ormai ogni giorno!) e soprattutto non avevo ancora acquisito quel linguaggio improvvisativo – di matrice swing - che poi ho “dimenticato” per realizzare questo lavoro, in cui l'improvvisazione c'è senz'altro, ma “sublimata”, per così dire, in atmosfere a volte molto lontane dallo swing propriamente detto.
3- Che rapporto hai con gli altri generi musicali?
Adoro tutte quelle espressioni musicali che mi stimolano creativamente e mi sorprendo a scoprire che, a volte, generi lontani anni luce dalla mia formazione musicale possano incuriosirmi anche molto.
4- Quando componesti i tuoi brani, come decidesti quali furono i più adatti da immettere all'interno di "Impressions"?
La scaletta di questo mio ultimo progetto è costituita da brani tutti di recente stesura, nati quasi tutti dalla commissione della mia etichetta (Sifare Publishing) e del mio editore, Francesco Digilio, di scrivere dei pezzi che potessero essere inseriti nelle sue collane di smooth jazz. Li avrei composti e suonati assieme ad altri validi musicisti miei colleghi. Successivamente ho pensato che alcuni erano particolarmente efficaci e ho deciso perciò di dar loro una veste, per così dire, più “classica” e così è nato “Impressions” .
5- Secondo te, perché quando si ascolta della musica (strumentale o meno) il nostro cervello riconduce ciò che sentiamo a delle precise immagini?
Penso che ciò accada perché musica e immagine siano da sempre legate, in effetti. Forse la nascita del cinema, poco più di un secolo fa, è stata favorita proprio da questo indissolubile legame, malgrado i primi film fossero muti, ma facessero comunque uso del pianista sotto il telone bianco! Certo, non va dimenticato che ognuno immaginerà sensazioni diverse da qualsiasi altro ascoltatore, malgrado il brano possa essere lo stesso! Il potere della musica infatti è profondamente evocativo e non meramente descrittivo, secondo me.
6- Quali sono le immagini che vuoi trasmettere tu, attraverso i tuoi brani?
Più che immagini, appunto, mi piacerebbe che le persone che ascoltano la mia musica provassero le stesse sensazioni che mi hanno aiutato a generare tale lavoro. Già ho avuto la piacevole sorpresa che ciò è avvenuto in più di un caso. E' una confortante sensazione di affinità d'intelletti che raramente mi è capitato di condividere.
Come nel precedente piano solo e come di solito faccio nei miei vari progetti discografici, scelgo le cover (o gli standard nel caso del jazz) coerentemente con il resto del programma. In questo caso, ad esempio, il celeberrimo pezzo dei Beatles, Yesterday e Song for Eia del pianista canadese Michael Jones sono due musiche appartenenti all'universo poliedrico della musica popular, come il sound appunto di quei miei brani. Il primo è stato un vero pezzo di rottura nel campo del pop e il secondo, un esempio di brano strumentale di ascendenza New Age.
8- Nell'album, che rapporto hanno i titoli delle canzoni con le canzoni stesse? Ci descrivi qualche binomio titolo-canzone nell'album?
Cerco di evocare sensazioni appunto anche nei titoli, solitamente. In questo caso, come spiegavo prima, molti dei brani, nati dalla commissione per il progetto di smooth jazz di Digilio, hanno dei titoli che dovrebbero richiamare un po' quel tipo di sonorità: By the sea, Rain, Skies; o anche Experience 2 o Experience 20. Queste ultime, poi, fanno parte di una serie di 45 brani con questo titolo! Una sorta di “minimalismo” linguistico di fin troppo chiara matrice Jean-Michel Jarriana!
9- Sei soddisfatto del tuo Piano Solo? Credi di continuare con questo tuo progetto, di evolverlo in altro, di mantenerlo così oppure lo abbandonerai e continuerai con altri progetti?
Il piano solo è certamente un punto di arrivo, un traguardo cui bisogna ambire, per cui, finora, ne ho realizzati due e sono fiero di entrambi. Certamente ne aggiungerò altri, ma opportunamente “dilazionati” nel tempo, e sicuramente alternandoli con altri progetti. Vorrei infatti riprendere la direzione del quartetto a mio nome, che al momento ho dovuto mettere un po' da parte proprio per “far spazio” ad “Impressions”. Ho anche il desiderio di dare compimento ad un mio omaggio a Leonard Bernstein con una formazione in trio. Quando sarò certo di aver acquisito nuovo spessore e nuova linfa nel mio solismo e nella composizione, allora penso che potrò pensare al terzo disco in...duo col mio piano!
10- Cosa ne pensi della cultura musicale in Italia? Secondo te, lo Stato, potrebbe farne un punto di forza e di vanto?
Rispondendo subito alla tua seconda domanda, credo proprio che lo Stato dovrebbe, non solo potrebbe, fare dei suoi artisti un motivo di orgoglio, come accade del resto in tutti i paesi civili. Il supporto da parte delle istituzioni è fondamentale per ogni forma di espressione artistica, perché essa necessita, come e più di altre manifestazioni della cultura dell'Uomo, dell'aiuto di chi dovrebbe vegliare con coscienza sui suoi figli.
La cultura musicale italiana peraltro, vive un'assurda discrasia: da una parte un esercito di appassionati, che va dal semplice, ma motivato amatore, al collezionista esperto che magari conosce tale e tanto materiale sonoro da far impallidire un docente universitario, fino ad arrivare a ottimi insegnanti e a ottimi musicisti professionisti. Dall'altra, la, praticamente, totale assenza di un pubblico adeguato, sia nel numero che nelle capacità, a questa ricca e variegata offerta. La musica, lungi dal fare facile retorica, dovrebbe essere insegnata fin dalla scuola primaria, perché è sempre stata ideale completamento della personalità e dell'equilibrio morale dell'individuo. Da qui nascerebbe un circolo virtuoso che sosterrebbe di gran lunga meglio tutti gli artisti della musica, sia nel riconoscimento del loro operato, attraverso la formazione di un pubblico preparato e attento, sia nell'occupazione. Ma se poi pensiamo all'annoso problema dei finanziamenti pubblici alla ricerca scientifica ad esempio, che soffrono da così tanto tempo di una assai simile indifferenza istituzionale, ai musicisti non resta altro che trattenere il fiato e andare avanti senza troppe illusioni.